di Fabio Serricchio*

Le elezioni europee del prossimo maggio avranno al centro dell’agenda un tema importante: l’Europa. A quanti non riescano a trattenere un moto di ilarità, pensando ad una considerazione lapalissiana, va subito rivolta l’avvertenza che la questione non è poi così scontata. O almeno così non è stata finora, considerando che in passato le elezioni europee si sono praticamente sempre giocate su dinamiche squisitamente nazionali.

Non a caso gli studiosi le interpretano soprattutto come second order elections. Fin troppo facile ipotizzare che, anche nel prossimo maggio, non si sfuggirà del tutto a questa regola. La posta in gioco in Italia è troppo alta per lasciare alle europee il “solo” ruolo di elezioni dove si scelgono i rappresentanti italiani di quello che è uno dei più grandi parlamenti al mondo.

Eppure, ci sono alcuni elementi di novità che ci spingono ad affermare, magari un po’ in controtendenza, che – effettivamente – i temi europei avranno un ruolo centrale nel dibattito e soprattutto nelle scelte di voto. Queste tematiche, infatti, sono entrate nell’agenda pubblica, come è ormai ampiamente noto, tanto che già le elezioni politiche del 4 marzo 2018 – che di fatto chiusero un lungo e complesso ciclo elettorale in cui l’Europa aveva giocato un ruolo fondamentale – si sono decise su temi europei. Con i principali attori partitici divisi soprattutto da una frattura – latente ma molto netta – tra europeisti e nazionalisti o, per dirla con un termine di moda, sovranisti.

Cosa aspettarsi nel prossimo maggio, allora? Tra gli italiani e l’Europa c’è stato per lunghi anni – fatto salvo il primissimo periodo di vita della Comunità – un feeling indiscutibile. Forte e intenso, tanto da sembrare immodificabile. Gli anni che vanno dal 1960 al Trattato di Maastricht sono infatti da considerare come l’epoca d’oro dell’europeismo in Italia. Dal 1992 in poi, invece, la propensione favorevole per il progetto di integrazione europea conosce le prime significative flessioni. Ad esempio, esaminando l’andamento dell’indicatore di membership (la classica domanda che sollecita gli intervistati a dichiarare il loro gradimento nei confronti dell’appartenenza della propria nazione all’Europa unita), si registra una flessione di 39 punti, dal 76% del 1992 al 37% del 2017.

L’evoluzione dell’europeismo in Italia (valori percentuali, fonte Itanes)

Nel 2018 si osserva una timida inversione di tendenza. Tuttavia, se il ragionamento si sposta sulla moneta unica, il quadro non è confortante: meno del 40 per cento (38,4%) degli intervistati pensa che l’Euro sia un elemento positivo, mentre è piuttosto estesa l’area degli oppositori. Infatti, quasi un terzo degli intervistati vede la moneta unica come un fattore negativo. Ed è attorno al 30 per cento la quota di rispondenti per i quali la condivisione della moneta unica è indifferente, o che semplicemente non sa rispondere.

Eppure, qualche piccolo segnale di segno positivo arriva: oltre alla timida inversione di tendenza (rilevata sia da Itanes – ITalian National Election Studies che da Eurobarometro negli ultimi mesi del 2018) gli italiani continuano a manifestare un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’Europa. Ad esempio, il livello di fiducia verso l’Unione europea è decisamente apprezzabile e fa registrare un valore medio di 5,4 punti su una scala 1-11. Un numero che ci fornisce relativamente poche informazioni, ma che assume un significato pregnante se paragonato al sentiment nei confronti di altre istituzioni. La fiducia verso l’Unione europea è infatti sensibilmente più elevata di quella che gli italiani dichiarano, ad esempio, verso il parlamento nazionale, e di poco inferiore a quella dichiarata nei confronti del Presidente della Repubblica che, notoriamente, gode di livelli di stima elevatissimi. A suggerirlo è sempre Itanes. E non è un dato secondario.

In definitiva, che l’Unione europea rappresenti oggi una realtà di primo piano è acclarato. Lo attestano le relazioni internazionali ed economiche, ma soprattutto il funzionamento della politica interna italiana, che con il sistema sovranazionale interagisce sistematicamente e, per molti versi, da esso dipende. Le vicende degli ultimi tempi – il balletto sulla quota di deficit da contrattare durante la stesura della legge di bilancio e, prima ancora, le questioni relative ai flussi migratori in entrata – lo dimostrano ampiamente.

Dunque, è facile ipotizzare che il peso dell’europeismo nelle prossime elezioni sarà rilevante, tanto da deciderne gli esiti in chiave domestica, in quanto gli elettorati sono effettivamente molto divisi su questi temi e gli anti-europeisti sono accreditati dai sondaggi di una solida maggioranza. La questione europea sarà un po’ meno importante per portare a termine “rivoluzioni” epocali. L’Italia, in fondo, elegge all’incirca solo il 10 per cento di tutti i parlamentari europei.

* Fabio Serricchio insegna Scienza Politica all’Università del Molise

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