di Silvia Bolgherini*

La Germania voterà il 26 maggio, chiamando alle urne oltre 60 milioni di elettori. Gli esiti delle elezioni europee sono attesi, almeno stavolta, con grande interesse in molti paesi, ma i risultati in Germania sono particolarmente importanti anche per gli equilibri istituzionali interni dell’Unione europea.

I maggiori gruppi parlamentari uscenti a Bruxelles sono attualmente guidati da tedeschi: i Socialisti e Democratici, la Sinistra unitaria europea, i Verdi. Ma soprattutto sono guidati da un tedesco i popolari, il cui capogruppo, Manfred Weber, è anche lo Spitzenkandidat del Partito popolare europeo (PPE), ovvero colui che potrebbe succedere a Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione Europea.

il successo di Weber, esponente dei cristiano-sociali bavaresi (CSU), il partito gemello della CDU di Angela Merkel, dipenderà anche – o soprattutto – dal voto in Germania.

Alla Germania spetta infatti il maggior numero di seggi nell’Europarlamento (96), numero invariato anche con l’uscita degli europarlamentari del Regno Unito.

Se le intenzioni di voto rimanessero quelle rilevate dai recenti sondaggi, i democristiani della CDU/CSU di Merkel si confermerebbero, pur in calo, il primo partito. Secondi sarebbero invece, per la prima volta, i Verdi, che scavalcherebbero sia la socialdemocrazia (SPD), sia il partito di destra radicale Alternativa per la Germania (AfD), secondo e terzo partito del paese dopo le elezioni federali del settembre 2017.

Dal momento che la Germania vota alle europee con un sistema elettorale proporzionale puro senza soglia di sbarramento, alle percentuali di voto corrisponde abbastanza fedelmente la percentuale di seggi ottenuti. Questo lascia ampio spazio anche a piccoli e piccolissimi partiti, che più di una volta sono riusciti a ottenere qualche eurodeputato. Ma significa soprattutto che il voto tedesco può determinare netti cambiamenti di peso nei principali gruppi parlamentari europei.

Sempre in base ai sondaggi, il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) sconterebbe le maggiori perdite proprio da Germania (-12 seggi) e Italia (addirittura -16 seggi) – che costituiscono, rispettivamente con la SPD e il Partito Democratico, le due più numerose compagini nazionali – mentre il PPE calerebbe, solo con la CDU/CSU tedesca, di 5-6 eurodeputati.

Quest’ultimo è un dato cruciale, visto che le sorti future delle istituzioni europee sono in gran parte nelle mani del PPE. I popolari rimarranno il primo partito in Europa, ma saranno in netto calo e perciò obbligati ad allearsi per poter avere la maggioranza all’Europarlamento. Se lo faranno – come è probabile – con il fronte degli eurofili (socialisti, ma anche liberali e/o verdi) o, invece, con quello dei sovranisti, dipenderà da quale delle due ali interne del PPE avrà la meglio.

E in questo il ruolo dello Spitzenkandidat Weber, che appartiene alla CSU e dunque all’ala destra dei democristiani tedeschi, sarà ancor più determinante. Weber ha per il momento impostato una campagna elettorale molto cauta, con temi conservatori classici, e con prese di posizione riguardo al futuro dell’Unione e di un suo eventuale rilancio altrettanto moderate.

In questo, Weber ha trovato sponda indiretta nella presidente della CDU – Annegret Kramp-Karrenbauer, succeduta a Angela Merkel alla guida del partito – che ha presentato la sua visione di Europa in risposta all’appello del presidente francese Macron, e nella quale la vena europeista è certamente presente, ma priva di una vera spinta propulsiva per il progetto UE. Tra pochi giorni il PPE voterà sull’espulsione di Fidesz – il partito del premier ungherese Viktor Orbán – per mancato rispetto dei valori del partito europeo e dell’UE.

L’eventuale espulsione del partito ungherese ridurrebbe però ancora di più i numeri della compagine PPE, e anche le chances di Weber di presiedere la Commissione, e inoltre farebbe prevedibilmente aumentare la forza parlamentare dei cosiddetti partiti sovranisti. D’altra parte, la battaglia tra partiti europeisti e forze euroscettiche è ormai presente anche in un paese come la Germania, dove il consenso per il progetto europeo è sempre stato forte, sia tra le élites che tra la popolazione.

Le posizioni più euroscettiche sono oggi cavalcate da Alternativa per la Germania (AfD), un partito che da posizioni inizialmente critiche nei confronti dell’Euro è diventato dichiaratamente di destra radicale e populista. Le istanze “sovraniste” di AfD sono presenti in larga parte del programma con cui si presenta alle elezioni europee, ove si prevede anche la possibilità di una Dexit (uscita della Germania dalla UE) come ultima opzione, nel caso non si realizzassero in tempi ragionevoli le riforme dell’Unione Europea richieste da questo partito.

A quale gruppo deciderà di unirsi AfD, che aggiungerà almeno 5 o 6 eurodeputati ai 7 già ottenuti nel 2014, sarà decisivo per la numerosità della compagine euroscettica. Anche in questo caso con conseguenze sugli equilibri tra i gruppi parlamentari europei e quindi sull’esito dell’elezione della prossima Commissione, nonché sul suo futuro orientamento. Quelle del prossimo maggio sono quindi le elezioni più importanti nei 40 anni di storia elettorale delle istituzioni europee. E, per il futuro dell’Europa, lo sono anche i risultati del voto in Germania.

* Silvia Bolgherini è ricercatrice di Scienza politica all’Università Federico II di Napoli

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