di Gianfranco Pasquino*

Bisogna sfatare un po’ di luoghi comuni sul dibattito attuale e prendere con le pinze le stime del voto che si fanno a quattro mesi dal voto.

La legge elettorale Rosato assegna due terzi dei seggi (66 per cento) della Camera e del Senato con metodo proporzionale e un terzo con metodo maggioritario in collegi uninominali. Nel 2006 circa il 90 per cento dei seggi furono assegnati con il metodo proporzionale; nel 2008, più dell’85 per cento; nel 2013 più del 75 per cento. Quindi, l’Italia non sta affatto “tornando alla proporzionale”. Non ne era mai uscita, neanche con l’Italicum. Al contrario, è cresciuta la percentuale di seggi attribuiti con metodo maggioritario.

Tutte le democrazie parlamentari europee utilizzano da tempo, quelle scandinave, il Belgio e l’Olanda, da più di cent’anni, leggi elettorali proporzionali. La legge tedesca, che si chiama “rappresentanza proporzionale personalizzata”, in vigore dal 1949, ha subito diversi piccoli adattamenti, ma la struttura è invariata.

Soltanto la Francia ha dal 1958, con la sola interruzione delle elezioni legislative del 1986, una legge elettorale maggioritaria in collegi uninominali con clausola di accesso al secondo turno. Talvolta, raramente, passano al secondo turno soltanto due candidati. Allora si ha tecnicamente ballottaggio. Quando i candidati che rimangono in lizza sono più di due si ha, per l’appunto, il secondo turno nel quale chi vince raramente ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi.

La quasi totalità dei governi delle democrazie europee sono governi di coalizione, composti da due o più partiti. Rari sono i casi di governi composti da un solo partito, ovviamente ad esclusione della Gran Bretagna (tranne nel periodo 2010-2015) e, soprattutto nel passato, dei governi di minoranza socialdemocratici, in particolare in Svezia, agevolati dalla non necessità di un esplicito voto di sfiducia.

I governi di coalizione si caratterizzano per due elementi. Il primo elemento è che, comprensibilmente, due partiti rappresentano l’elettorato, le sue preferenze, i suoi interessi, persino i suoi ideali, meglio di quanto possa fare un solo partito. Il secondo elemento è che il programma concordato, faticosamente quanto si vuole (ma con meno fatica se non è la prima volta che si forma quella coalizione di governo) smusserà le punte estreme dei programmi dei differenti partiti. Quel governo risulterà meglio rappresentativo delle preferenze degli elettori mediani.

 

Nonostante recenti, comparativamente e numericamente del tutto infondate, affermazioni, non è affatto vero che l’alternanza al governo fra partiti e coalizioni costituisca una costante nel funzionamento delle democrazie parlamentari europee. Al contrario, l’alternanza è un fenomeno generalmente raro e l’alternanza “completa” – quella nella quale un partito o una coalizione subentrano ad un partito e ad una coalizione escludendoli totalmente – è un fenomeno rarissimo. Richiede l’esistenza di un solido sistema bipartitico com’è stato quello inglese dal 1945 al 2010, nel quale soltanto due partiti, gli stessi, potevano ottenere la maggioranza assoluta di seggi nella Camera dei comuni e, quando la ottenevano, governavano da soli. Altrove, nella grande maggioranza dei casi, quello che avviene è la sostituzione di uno o due partiti al governo accompagnata dalla persistenza di uno o due partiti nel governo: semi-alternanza? Semi-rotazione?

La casistica è amplissima. Mi limiterò ai due esempi più recenti. In Austria, i Popolari, già al governo, hanno deciso di fare una nuova (ma non inusitata) coalizione di governo escludendo i Socialdemocratici e includendo i Liberali. In Germania è ritornata possibile la Grande Coalizione, esempio probante di non alternanza. In nessuna delle democrazie parlamentari europee è mai stato posto l’obiettivo di conoscere “chi ha vinto” la sera stessa delle elezioni.

Infine, una nota di cautela sulle simulazioni relative ai risultati elettorali e alle loro conseguenze sui governi possibili. Ragionare su quelle simulazioni a quattro mesi dalle elezioni prendendole come attendibili significa ritenere che:

  1. la campagna elettorale non farà nessuna differenza;
  2. gli accordi pre-elettorali fra i partiti saranno irrilevanti;
  3. le personalità dei leader degli schieramenti non conteranno quasi nulla;
  4. nessuno degli antagonisti commetterà errori significativi né troverà un asso nella manica;
  5. le preferenze degli elettori, molti dei quali, è noto, decideranno il loro voto nell’ultima settimana, se non la notte prima dell’elezione, rimarranno stabili.

Tutto improbabile.

* Gianfranco Pasquino è Professore Emerito di Scienza Politica.

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2 Comments

  1. Antonio Forcillo 7 Dicembre 2017 at 22:00

    Ci sarebbero altri due elementi da considerare:
    1. quali dinamiche imprevedibili scaturiranno dall’astensionismo? L’astensionismo ha la caratteristica di scompaginare i calcoli e le relative risultanze percentuali, poichè, come è noto, esso viene preventivamente “scremato” dai calcoli sondaggistici oltre che dalla ripartizione del potere. Le conseguenze di questa abnorme alchimia effettuata a monte determinano, inevitabilmente, pesanti ripercussioni sull’affidabilità degli esiti sondaggistici e sui loro rispettivi risultati percentuali. Se infatti ai fini del sondaggio (ed è quello che sistematicamente oggi avviene) consideriamo sempre e soltanto i voti utili, nel caso in cui alcuni partiti perdono consenso elettorale il partito che non perde voti, pur rimanendo stabile nel numero dei suoi elettori, acquisterà un valore percentuale di molto maggiore. Il plusvalore consensuale, in pratica, risulterà rafforzato anche se solo in maniera fittizia. Le fibrillazioni politiche di questi questi ultimissimi tempi potrebbero pertanto derivare proprio da questa incauta manipolazione dei termini assoluti del consenso. Stabilire a priori qual’è il consenso di serie A (quello del voto utile), rispetto all’altro di serie B (quello delle variegate forme astensionistiche oramai maggioritarie in Italia), falsa le aspettative, ed è alla base del sempre maggiore scollamento dei cittadini dai partiti.
    2. Il plusvalore consensuale fittizio, inoltre, è inversamente proporzionale a quella che sarà l’autorevolezza e l’efficacia dell’azione di governo. I partiti e le coalizioni che di ciò ne beneficeranno dovranno poi fare i conti con una maggiore conflittualità interna scaturita dai maggiori “appetiti” di correnti o partners coalizzativi, col risultato di una inevitabile, a quel punto, ingovernabilità, e quindi con un maggior ricorso ai voti di fiducia.
    Antonio Forcillo, portavoce MAPI (Movimento Astensionista Politico Italiano).

  2. prof. Miguel Mz Cuadrado, 9 Dicembre 2017 at 12:39

    Art. Cf Visperas catalanas : La Hora de la verdad. nov. 2017. In El Siglo. Madrid.

    Esperamos que esta vez La ley electoral confirme el cambio constitucional de Italia, sobre todo para encaminarse a un sistema de gobierno de “parlamentarismo racionalizado”
    Y HACIA mediante una mayor estabilidad del poder ejecutivo y mejor gobernanza reduciendo el hasta ahora sistema proporcional que otorga a los pequeños partidos una divisoria permanente y la fragmentación del sistema de partidos.

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