di Cristian Vaccari*

Non bisogna generalizzare: i social media possono aumentare la polarizzazione, ma non per tutti gli utenti e non nella stessa misura

Chi ha paura dei social media? Mentre la campagna elettorale entra nel vivo, sembra crescere l’apprensione per le minacce che Facebook, Twitter e gli altri social network possono rappresentare per la democrazia. Fra le tante e non infondate preoccupazioni – disinformazione organizzata, inciviltà e superficialità nelle discussioni, sorveglianza invasiva, propaganda personalizzata – troviamo anche l’idea che i social media funzionino come “camere dell’eco” (che traduce l’inglese echo chambers) o come “bolle ideologiche” (filter bubbles).

Secondo questa ipotesi, gli utenti usano i social media soprattutto per rafforzare le loro convinzioni politiche, interagendo con cittadini, politici e giornalisti con cui concordano ed evitando quelli con cui sono in disaccordo. Questo è un problema per la democrazia, fondata com’è, fra le altre cose, sul dialogo tra idee diverse, e potrebbe esserlo ancora di più in Italia vista la frammentazione e conflittualità del sistema politico e dei media.

Dobbiamo dunque preoccuparci del fatto che la campagna elettorale sui social media potrebbe contribuire a dividere ulteriormente gli italiani? Secondo i dati, solo in parte. Negli scorsi anni ho coordinato una ricerca su dieci democrazie occidentali in cui abbiamo intervistato campioni rappresentativi della popolazione maggiorenne che utilizza internet. A queste persone abbiamo chiesto, fra le altre cose, quanto spesso si trovano d’accordo e in disaccordo con le idee politiche espresse dagli altri cittadini con cui parlano di persona e dagli utenti che seguono sui social media.

L’ultima rilevazione in Italia risale a novembre 2015 e i risultati sono coerenti con i dati raccolti più recentemente in altri paesi. Come si vede dal grafico, gli italiani che incontrano opinioni discordanti sui social media sono molti di più (37%) di quanti vedono idee simili alle loro (25%). Nella comunicazione faccia a faccia fuori dalla rete, invece, le opinioni concordanti (34%) e quelle discordanti (33%) sostanzialmente si equivalgono. Insomma, se confrontati con le piazze, i bar e i salotti di casa, i social media contribuiscono ad ampliare anziché ridurre la varietà di opinioni con cui gli italiani si confrontano.


L’esperienza degli utenti, almeno per come la raccontano quando rispondono a un questionario, è quindi molto diversa da come viene rappresentata nel dibattito pubblico. D’altronde, i dati suggeriscono che le bolle ideologiche esistono, ma riguardano un gruppo specifico di utenti, di cui possiamo tracciare un identikit preciso. Si tratta di persone interessate alla politica, di cui parlano spesso sui social media, e che utilizzano molto Twitter. Fra gli intervistati che si interessano molto di politica, il 45,7% incontra spesso opinioni simili alle sue sui social media, contro appena il 10,1% fra quanti non si interessano per niente. Fra coloro che discutono di politica sui social media tutti i giorni, il 65,2% incontra spesso opinioni con cui è d’accordo, mentre fra coloro che ne discutono solo qualche volta al mese la percentuale scende al 19%. Infine, fra quanti utilizzano Twitter tutti i giorni il 45,6% è spesso d’accordo con quello che legge sul web, ma fra gli utenti assidui di Facebook la percentuale è solo del 27,5%. È bene ricordare che Facebook ha 30 milioni di utenti attivi in Italia, mentre Twitter ne ha solo 7.

Se dunque ci immergiamo nel dibattito politico sui social media, incontreremo soprattutto gli utenti politicamente attivi, che preferiscono discutere su Twitter. Molti di questi attivisti digitali vivono effettivamente in piccole o grandi bolle ideologiche, ma non sono rappresentativi né della popolazione, né degli utenti dei social media. Sono però più visibili nel dibattito pubblico perché più propensi a prendere la parola e a farlo su Twitter, che è molto meno diffuso di Facebook fra gli italiani, ma è il pane quotidiano di politici, giornalisti e commentatori. Si costruisce così un circuito comunicativo relativamente ristretto fra élites e attivisti che alimenta l’idea dei social media come bolle, anche se, come dimostrano i dati, l’esperienza della maggior parte degli utenti è molto diversa.

Che la polarizzazione e la frammentazione siano dinamiche pericolose per la democrazia non è in discussione. Che i social media giochino un ruolo decisivo nell’aggravare questi fenomeni è invece tutto da dimostrare.

* Cristian Vaccari è Reader in Comunicazione Politica presso la Loughborough University (Regno Unito). Per approfondimenti e confronti internazionali, il suo sito.

Articolo consultabile su Repubblica.it

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3 Comments

  1. Arnaldo Liguori 8 Febbraio 2018 at 16:29

    È possibile avere il link alla ricerca del Prof. Vaccari e quello alla ricerca Ipsos del 2015?

    • Cristian Vaccari 12 Febbraio 2018 at 12:50

      Buongiorno, la ricerca non è ancora stata pubblicata in forma più estesa. Insieme ad Augusto Valeriani sto scrivendo un libro per Oxford University Press che raccoglierà dati di 9 democrazie occidentali (può trovare una breve descrizione nella seconda parte di questa pagina: https://cristianvaccari.com/books/). Grazie dell’attenzione!

      • Arnaldo Liguori 12 Febbraio 2018 at 18:09

        Grazie mille! Sono un suo ex studente e un attuale tesista del Prof. Valeriani, ahimè districarsi nel dibattito sugli effetti delle camere dell’eco è quanto meno impegnativo.

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