di Giovanni Tarli Barbieri*

Il 4 marzo al voto per rinnovare Parlamento e Regioni (Lazio e Lombardia). Il Rosatellum-bis ha ricevuto non poche critiche per l’assenza di regole di democrazia e trasparenza nei processi di selezione delle candidature all’interno dei partiti

Il prossimo 4 marzo, oltre al Parlamento nazionale, saranno rinnovati anche i Presidenti delle Giunte e i Consigli regionali di Lazio e Lombardia. È avvenuto così anche nel 2013; diversamente da allora, non avranno luogo le elezioni regionali in Molise, posticipate al 22 aprile, a seguito di una complessa e discutibile vicenda che ha visto l’approvazione alla fine del 2017 di una nuova legge regionale, “corretta in corsa” addirittura in un provvedimento collegato alla manovra di bilancio 2018-2020 (legge regionale 1/2018) per scongiurare il rischio di impugnazione da parte del Governo.

Negli articoli già pubblicati dell’Atlante elettorale sono stati analizzati compiutamente gli elementi fondamentali della nuova legge per l’elezione di deputati e senatori (il cosiddetto Rosatellum bis). Le leggi elettorali in vigore per Lazio e Lombardia per contenuti e ratio sono assai diverse da quest’ultima. Esse debbono essere inquadrate nel contesto della forma di governo regionale che si fonda sulla contemporanea elezione diretta del Presidente e del Consiglio nonché sul noto meccanismo aut simul stabunt aut simul cadent, per cui il venir meno del primo per qualunque motivo (morte, impedimento permanente, dimissioni, sfiducia) comporta nuove elezioni.

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In tale assetto, i contenuti della legge elettorale sono essenziali, allo scopo di assecondare una “unificazione dello schieramento maggioritario intorno alla figura del Presidente della Giunta” (come recita una sentenza del 2004 della Corte Costituzionale) e quindi una “presunzione di consonanza” tra quest’ultimo e la maggioranza consiliare.

Ai sensi dell’art. 122, comma 1, della Costituzione, in questa materia le Regioni hanno autonomia legislativa, nell’ambito dei (pochi e generici) principi fondamentali stabiliti dalla legge statale (si tratta della legge 165/2004).

Le leggi elettorali di Lombardia e Lazio presentano alcuni tratti comuni che possono essere così riassunti:
a) il Presidente della Giunta è eletto con un sistema a turno unico (risulta eletto quindi il candidato più votato a prescindere dal numero di voti ottenuto);
b) i candidati Presidenti debbono collegarsi a una lista o una coalizione di liste per l’elezione del Consiglio, presentate a livello provinciale;
c) gli elettori possono votare, a scelta:
– solo per un candidato Presidente;
– per un candidato alla carica di Presidente della Regione e per una delle liste a esso collegate;
– solo per una lista; in tale caso il voto si intende esteso anche al candidato Presidente ad essa collegato;
– per un candidato Presidente e una lista ad esso non collegata (è il cosiddetto “voto disgiunto”);
d) gli elettori che votano una lista per il Consiglio possono esprimere fino a due voti di preferenza; nel caso in cui esprimano due preferenze, esse devono riguardare candidati di sesso diverso;
e) il Consiglio è eletto con metodo proporzionale, con attribuzione alla lista o alla coalizione collegata al Presidente eletto di un premio di maggioranza, di entità variabile, perché dipendente dal numero di voti conseguiti da quest’ultimo; tuttavia, alle altre liste è comunque garantita una percentuale minima di seggi (30% in Lombardia; 20% in Lazio);
f) non sono ammesse alla ripartizione dei seggi consiliari le liste che non raggiungano una percentuale minima a livello regionale (3% a meno che non siano collegate a un candidato Presidente che ottenga almeno il 5%).

Tre degli elementi più qualificanti di questi sistemi elettorali, ovvero elezione diretta del vertice dell’Esecutivo, premio di maggioranza, voto di preferenza non sono presenti nel Rosatellum-bis. Il primo, come si è detto, è l’elemento cardine della forma di governo regionale, diversa da quella statale e quindi non “esportabile” a livello nazionale.

Il premio di maggioranza è stato eliminato dal Rosatellum-bis, sia a seguito delle recenti pronunce della Corte costituzionale, sia perché esso risulta poco congeniale all’assetto bicamerale del nostro Parlamento, per di più espressione di corpi elettorali diversi.

Come è noto, la Corte costituzionale (con le sentenze 1/2014 e 35/2017) ha dichiarato l’incostituzionalità della disciplina del premio qualora esso determini una illimitata compressione della rappresentatività delle assemblee parlamentari. Solo a queste ultime infatti sono affidate attività fondamentali e infungibili, quali “le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre assemblee rappresentative di enti territoriali” (sentenza 1/2014).

Viceversa, il premio risulta essenziale a livello regionale, perché valorizza il vincolo che lega il Consiglio regionale al Presidente eletto, come riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale (sentenze 193/2015 e 35/2017).
In questo senso, mentre la legge lombarda garantisce alla lista o coalizione collegata al Presidente eletto una sicura maggioranza di seggi consiliari, quella laziale limita il premio ad un massimo del 20% dei seggi (per inciso, in una competizione tri o quadripolare questa quota potrebbe non essere sufficiente a garantire la governabilità).

L’ultima differenza riguarda il voto di preferenza, non previsto nel Rosatellum-bis, che prevede un modello di competizione basato su collegi uninominali e plurinominali “bloccati”. La scelta operata dal legislatore nazionale è stata criticata da più parti, anche e soprattutto per l’assenza di regole di democrazia e trasparenza nei processi di selezione delle candidature all’interno dei partiti.

Tuttavia, anche il voto di preferenza ha evidenziato a livello regionale alcune controindicazioni (tra queste, l’incremento dei costi delle campagne elettorali, un effetto di conservazione della classe politica, degenerazioni localistiche della rappresentanza) anche se occorre tenere conto di variabili territoriali (il voto di preferenza è meno utilizzato nelle Regioni settentrionali) e politiche (il rilievo del voto di preferenza nei diversi partiti è diverso).

In conclusione, è stato affermato che in molte democrazie consolidate anche federali vi è una tendenziale congruenza tra i sistemi elettorali nazionali e quelli delle entità federate. Non è il caso dell’Italia, viste le differenze sostanziali di cui sopra, esaltate dalla tendenziale complessità dei sistemi elettorali tanto nazionali quanto regionali. Tutto ciò non fa che contribuire alla disaffezione degli elettori.

* Giovanni Tarli Barbieri è professore di diritto costituzionale presso l’Università degli studi di Firenze

Articolo consultabile su Repubblica.it

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