di Lucia Quaglia*

Con l’approssimarsi delle elezioni del Parlamento Europeo e con il peggiorare della recessione economica in Italia, il tema di una possibile riforma della Unione Economica e Monetaria (UEM) diventato di notevole rilevanza.

L’UEM, concordata dagli stati membri tramite il Trattato di Maastricht nel 1992 ed entrata in funzione nel 1999, è stata concepita e posta in essere come una costruzione ‘asimmetrica’. Da un lato, una piena unione monetaria, con una moneta unica, l’euro, ed una politica monetaria unica condotta dalla Banca Centrale Europea (BCE). Dall’altro lato, una unione economica vera e propria, intesa come una unione fiscale, o quantomeno come una forma di federalismo fiscale,  accompagnato da un bilancio comune per i paesi dell’area euro, ma che tuttavia non è stata posta in essere. Nel contempo, l’Unione Europea (UE) ha posto vincoli di bilancio alla politica fiscale degli stati membri, e l’Italia è riuscita ad evitare l’apertura di una procedura di infrazione di bilancio lo scorso autunno solo a seguito della modifica della legge finanziaria.

Questa tipologia di UEM, in qualche modo incompleta, è stata oggetto di numerose riflessioni, anche prima della sua entrata in funzione. Alcuni, soprattutto nei paesi periferici dell’area euro, sottolineano la necessità di un suo rafforzamento, sviluppando meccanismi di solidarietà economica, ossia risk sharing. Altri, soprattutto in paesi con una consolidata cultura di stabilità economica, come la Germania, sono ostili a forme di fiscal transfer, e vorrebbero invece un rafforzamento dei vincoli di bilancio sugli stati ed altre forme di risk control, ad esempio con riferimento ai bilanci delle banche.

Nel frattempo, nel tentativo di completare l’UEM e in risposta alla crisi del debito sovrano nell’area euro, è stata creata l’Unione Bancaria, dove la funzione di vigilanza bancaria è svolta dalla BCE in cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali. Tuttavia, anche l’Unione Bancaria è stata costruita in maniera asimmetrica, in particolare non è stato creato un fondo europeo per la tutela di depositanti. Rimangono quindi, a tutela di questi ultimi, i rispettivi fondi nazionali di tutela.

Nel dicembre del 2017 la Commissione Europea ha elaborato alcune proposte per la riforma della UEM. Tra le varie proposte avanzate è prevista la creazione di una specifica linea di bilancio per l’area euro all’interno del bilancio UE con quattro specifiche funzioni: assistenza per riforme strutturali, stabilizzazione economica, protezione dell’Unione Bancaria e strumento di convergenza. Altre proposte concernono la creazione di un ministro del tesoro per l’area euro e di un Fondo Monetario Europeo. Ad esse si aggiunge una proposta per il consolidamento della disciplina di bilancio negli stati membri.

Queste proposte, anche se ben lontane dal completare l’UEM, contribuirebbero comunque al suo sviluppo. Infatti, riflettendo una consolidata prassi della UE nella ricerca di una soluzione di compromesso, queste proposte mirano a contemperare gli interessi dei vari stati membri, sia di quelli che danno priorità al risk sharing che di quelli che privilegiano il risk control.

Le proposte della Commissione si sono inserite in un più ampio dibattito sulla riforma della UEM, discussa dai governi degli stati membri nel Consiglio dei Ministri e dal Parlamento Europeo, ma fino ad ora senza raggiungere un’intesa. La mancanza di risultati sostanziali è in parte da ascriversi ai diversi interessi degli stati membri, che rendono difficile l’accordo. In parte, invece, è dovuta al timing delle elezioni nei diversi paesi europei, soprattutto nei tre maggiori, ossia Germania, Francia e Italia.

Inoltre, le prossime elezioni del Parlamento Europeo vedranno in forte crescita partiti sovranisti e populisti. Questa prevedibile svolta politica, in aggiunta alla presenza di analoghi partiti nei governi dei diversi paesi dell’area euro, è probabilmente destinata a bloccare ogni tentativo di rafforzare l’UEM. Ciò implicherebbe una riforma in senso sovranazionale che possa accrescere le competenze e le risorse a livello di area euro. Al tempo stesso, i comportamenti fiscalmente non virtuosi di paesi come l’Italia rendono politicamente difficile accettare, per paesi con ferrea disciplina di bilancio, un completamento della UEM. Rimane però il problema della UEM asimmetrica, che produce a sua volta effetti asimmetrici nei vari stati membri, come evidenziato dalla crisi del debito sovrano, con inquietanti implicazioni economiche e politiche, non ultimo un crescente euroscetticismo. Il rischio è quello che, come nella nota ‘teoria della bicicletta’, secondo cui una bicicletta deve andare avanti per evitare di cadere, l’integrazione europea, in questo caso specifico l’UEM, sia in pericolo per l’assenza di sostanziali progressi.

* Lucia Quaglia è professore di Scienza Politica all’Università di Bologna

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