di Duncan McDonnell *

Cinque anni fa, secondo molti osservatori, in occasione delle elezioni europee si è verificato un terremoto populista. Anche se alcuni partiti (come la Lega) hanno avuto risultati non eccelsi rispetto al 2009, nel complesso la tornata del 2014 ha portato al parlamento europeo il maggior numero mai visto di populisti di destra. Peraltro, tre partiti dell’Europa occidentale, il francese Front National (come si chiamava allora), lo UKIP britannico e il Partito del Popolo Danese, hanno vinto le elezioni nei propri paesi per la prima volta.

Eppure, nonostante condividessero svariate idee su temi come l’immigrazione e l’integrazione europea, questi tre partiti hanno trascorso la legislatura in gruppi parlamentari diversi: il Partito del Popolo Danese tra le file dell’ECR (Conservatori e Riformisti Europei), lo UKIP nel gruppo EFDD (Europa della Libertà e della Democrazia Diretta) e, infine, il Front National (ora Rassemblement National) nell’ ENF (Europa delle Nazioni e della Libertà).

Insomma, dopo il terremoto, la diaspora. Perché c’è stata questa divisione dei populisti di destra al Parlamento europeo? E quali sono le prospettive di un loro eventuale gruppo unico nel prossimo parlamento?

In generale, al Parlamento europeo, chi si assomiglia si piglia. I partiti di centrodestra, il centrosinistra, la sinistra radicale e così via si ritrovano con i propri simili. Questa regola è valsa per tutte le famiglie ideologiche europee tranne una: la destra radicale populista.

La storia dei populisti di destra al Parlamento europeo è stata infatti caratterizzata da interessi nazionali contrastanti, reciproca sfiducia, e dalla paura che i media e gli elettori li associassero a partiti stranieri con aspetti controversi.

Non troviamo quindi gruppi parlamentari duraturi che comprendano populisti di destra. Ad esempio, la Lega, presente in Parlamento dal 1989, non è mai stata nello stesso gruppo per due legislature di seguito. Se, dopotutto, la Lega ha sempre trovato una collocazione in gruppi ad hoc, altri partiti come il Front National, lo Vlaams Belang fiammingo e l’FPÖ austriaco sono stati per molti anni relegati tra i non-iscritti, privi delle risorse e della visibilità che offre la partecipazione ad un gruppo.

Nonostante le persistenti divisioni, qualcosa è cambiata dopo il 2014. Quando per il nostro libro International Populism: The Radical Right in the European Parliament abbiamo parlato con rappresentanti e funzionari dei populisti di destra nell’attuale parlamento abbiamo trovato due tipologie di partiti: quelli che chiamiamo i ‘respectable radicals’ (radicali rispettabili), e i ‘proud populists’ (orgogliosamente populisti).

I primi, come il Partito del Popolo Danese, i Democratici Svedesi e il Partito dei Finlandesi, hanno cercato – attraverso le alleanze a livello europeo – di guadagnare legittimità e consensi a livello nazionale. L’importante non è stato solo con chi stavano, ma anche con chi non stavano.

Ad esempio, i danesi ci parlavano dell’importanza di poter dire a casa loro che si sedevano accanto al partito (all’epoca) di David Cameron, e non a quello di Marine Le Pen.

I secondi, come il Front National, l’FPÖ, il PVV di Geert Wilders e la Lega, sono invece partiti che, finalmente, hanno rivendicato la loro comune ideologia. La strategia di dédiabolisation di Marine Le Pen ha avuto frutti a livello europeo. Se Umberto Bossi, un tempo, definiva ‘un farabutto’ chi paragonava la Lega al Front National e Wilders sottolineava che non era alleato né di Jean-Marie Le Pen, né dell’austriaco Jörg Haider, ora i vari Le Pen (figlia), Salvini e Wilders non solo siedono nello stesso gruppo, ma non mancano di mostrarlo pubblicamente (selfiee balli inclusi).

A giudicare dalla conferenza stampa tenuta a Milano lunedì, dove Salvini si è presentato insieme ad esponenti del Partito del Popolo Danese, del Partito dei Finlandesi e dell’Alleanza per la Germania, alcuni dei ‘respectable radicals’ si stanno trasformando in ‘proud populists’.

Sempre di più questi partiti praticano un populismo non solo internazionale, ma transnazionale. Si propongono insieme come i difensori di un popolo ‘europeo’, minacciato dall’alto dalle élite e, dal basso, da tanti pericolosi ‘altri’, soprattutto immigrati e musulmani.

Se le divergenze rimangono (in primis le posizioni sulla Russia), questa vocazione transnazionale potrebbe comunque compattare ulteriormente i populisti di destra, avvicinando i partiti dell’Europa occidentale a quelli dell’Europa orientale. I populisti polacchi e ungheresi si danno la missione di ‘salvare l’Europa cristiana’, la stessa di cui parlano Salvini e Wilders. E, nell’epoca post-Brexit, quasi tutti dichiarano di volere riformare l’Unione Europea anziché lasciarla.

E perché dovrebbero lasciarla ora? I populisti di destra in Europa pensano che sia arrivato il loro momento, ritengono di fare parte di un’onda che travolgerà il mondo, dal Brasile all’India, dagli Stati Uniti all’Italia. Non vedremo forse un unico gruppo parlamentare che contiene proprio tutti i populisti di destra (per il momento), ma saranno certamente più numerosi, rumorosi, uniti e potenti che mai.

* Duncan McDonnell è Professor of Politics alla Griffith University, Brisbane, Australia.

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