di Simona Guerra*
Che cos’è l’euroscetticismo? In un precedente contributo dell’Atlante elettorale si poneva l’attenzione sul crescente euroscetticismo italiano. Qui offro una lettura diversa, esaminando il fenomeno all’interno dell’Unione europea, in una prospettiva storica e comparata.
L’euroscetticismo, da un punto di vista terminologico, nasce nel 1988 con il discorso della prima ministra britannica Margaret Thatcher al Collegio europeo di Bruges. Thatcher sottolineò come l’Europa non fosse nata con il Trattato di Roma, né potesse essere definita come nata con le istituzioni (europee). Thatcher auspicava una nuova Europa, famiglia di nazioni diverse, unite dal dialogo e dalla cooperazione, che rafforzasse sia la dimensione europea che la dimensione nazionale.
Con il Trattato di Maastricht (1992) e l’avvento dell’Europa politica, i primi ‘no’ espressi dall’opinione pubblica nei referendum europei hanno rilanciato l’uso del termine euroscetticismo, che si è sviluppato soprattutto per indicare il dibattito all’interno dei partiti politici. A questo proposito, viene spesso utilizzata una distinzione fra quei partiti che aspirano a lasciare l’Unione europea (come nel caso dell’Ukip nel Regno Unito), definiti ‘hard Eurosceptic’, e quei partiti che si oppongono ad una specifica politica dell’Unione, come ad esempio l’Eurozona, definiti ‘soft Eurosceptic’.
Se negli anni in cui questa teoria si è sviluppata (1998-2008) era quasi impossibile trovare partiti che si opponessero frontalmente al processo europeo, con il passare degli anni la contestazione nei confronti dell’Unione europea si è rafforzata, soprattutto dopo l’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale (nel 2004 e 2007), e successivamente con la crisi economica e finanziaria che ha visto un crollo del sostegno nei confronti dell’Unione europea. Nel 1994 la media europea fra coloro che pensavano che l’adesione fosse una cosa positiva per il proprio paese era al 56%, con i dati più alti in Olanda (77%), Irlanda (71%), e Lussemburgo (71%). Con l’allargamento degli anni 2004-07 e la prima fase della crisi economica, le percentuali sono definitivamente cambiate.
La pressione della crisi economica, le politiche di austerità, la crisi dei rifugiati e il referendum britannico del 2016 hanno però prodotto effetti diversi sull’opinione pubblica europea. Solo i cittadini irlandesi (64%) rimangono molto positivi nei confronti della Ue, e la media europea si attesta oggi al 43%.
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