di Sorina Soare*

Dopo la curiosità iniziale e l’entusiasmo sollevati dalla Caduta del Muro, i paesi dell’Europa centrale ed orientale sono stati dimenticati per molto tempo. È nel contesto della difficile gestione della crisi dei rifugiati che l’interesse per lo spazio postcomunista irrompe però impetuosamente. In chiave critica nei confronti dell’Unione europea, diventano visibili le convergenze argomentative fra vari partiti occidentali e orientali classificati in maniera schematica come sovranisti.

Confluiscono in questo gruppo partiti con origini, percorsi ed esperienze diverse, che costruiscono una seducente offerta elettorale accreditandosi come difensori della ri-acquisizione della sovranità nazionale e come critici degli effetti negativi della globalizzazione. Così l’Europa centrale ed orientale è tornata ad avere una nuova salienza nel dibattito pubblico e nella politica occidentale. Ma al di là dell’immagine semplificata e banalizzata di un’area omogenea e convergente verso un profilo sovranista, ad uno sguardo appena più attento la regione si svela nella sua complessità. Spesso, al centro della loro posizione contro si ritrovano gli immigrati, definiti come agenti destabilizzanti dal punto di vista culturale ed economico.

Che cosa rappresenta allora l’Europa centrale ed orientale nel contesto delle elezioni europee di fine mese? Ricordiamo innanzitutto che 10 degli 11 stati membri della zona hanno già partecipato a tre elezioni del Parlamento europeo. In tutte queste occasioni, la partecipazione è stata piuttosto scarsa. Sappiamo, certo, che le elezioni europee non riescono a mobilitare masse ampie di elettori, ma la media della partecipazione alle elezioni del 2014 ha presentato un livello di apatia maggiore nei paesi post-comunisti rispetto agli stati membri di vecchia data (13 punti percentuali in meno rispetto alla media europea). Uno sguardo ai dati sull’affluenza elettorale mette in evidenza come, ad eccezione di Croazia, Lituania e Romania, nel 2014 tutti i paesi della regione abbiano subito un netto ridimensionamento della partecipazione rispetto alle precedenti consultazioni. La contrazione più significativa ha riguardato la Lettonia (-23,4). Ma è altrettanto interessante il caso della Slovacchia, dove nel 2014 soltanto il 13,1 degli elettori si è recato alle urne.

In occasione delle elezioni del 26 maggio, la partecipazione potrebbe essere influenzata in due casi dall’organizzazione simultanea di un altro evento elettorale: il secondo turno delle elezioni presidenziali in Lituania e il referendum indetto in Romania sul tema della giustizia. Com’era prevedibile, in entrambi i casi gli eventi concomitanti hanno spostato le luci, già flebili, dall’Unione europea su temi di politica nazionale. D’altra parte non si tratta di un’eccezione, giacché nella maggior parte dei casi i temi che hanno caratterizzato le campagne elettorali sono stati in prevalenza di portata nazionale, e si sono incentrati in particolar modo sulla lotta alla corruzione. Il contrasto alla corruzione, infatti, è un tema con forte capacità di mobilitazione all’est. È stata non a caso la chiave di volta del successo dell’attivista Zuzana ?aputová nelle elezioni presidenziali slovacche di due mesi fa. Si tratta di un tema centrale e ricorrente anche nelle campagne elettorali dei partiti che vengono associati al gruppo dei sovranisti. Con varie declinazioni, questi partiti, oltre ad opporsi al trasferimento di poteri verso l’Ue, identificano fra le minacce alla comunità i soprusi di una élite corrotta.

È il caso di un partito lettone atipico di creazione recente. Con un nome provocatorio, Chi possiede lo Stato?, assomiglia ai partiti anti-tasse scandinavi, come il Partito del Progresso Norvegese. Alla base del successo del partito di Artuss Kaimi?š (attore, animatore radio e politico) si ritrovano le tematiche tipiche del conservatorismo fiscale, ma anche temi quali la riduzione della burocrazia e la lotta alla corruzione. In questo contesto, le elezioni europee porteranno nell’emiciclo di Strasburgo sia volti della politica tradizionale, sia partiti che si presentano, con declinazioni diverse, come paladini della sovranità nazionale. Bisogna tuttavia ricordare che malgrado l’enfasi condivisa sulla necessità di garantire maggiore spazio agli interessi nazionali, le loro posizioni economiche, culturali o di politica esterna nel gruppo dei cosiddetti sovranisti sono molto eterogenee. Le collaborazioni a livello europeo non sarebbero affatto facili.

In chiusura, aggiungiamo che se il livello di apprezzamento relativo alla membership europea rimane alto nello spazio postcomunista, i i dati dell’Eurobarometro della primavera del 2019 mettono in evidenza alcuni casi critici. Alla domanda “In generale, pensi che per il tuo Paese essere uno Stato membro dell’Ue è…?” (%), soltanto il 39% dei cittadini della Repubblica Ceca, il 44% dei croati e il 49% dei rumeni considera ancora l’appartenenza europea come un elemento positivo (la media europea è del 62%).

In attesa del risultato delle elezioni, uno sguardo all’Est mette in evidenza un clima di prevalente “normalità”. Benché i discorsi critici nei confronti dell’Unione europea si siano diffusi capillarmente nella società e fra i partiti politici, l’exit non è un’opzione (ancora) realistica. Il gruppo dei sovranisti rimane visibile e il suo potere in seggi in potenziale crescita, ma la capacità di spostare radicalmente i punti cardinali dei regimi postcomunisti rimane assai remota.

Dall’Est è tutto, la linea agli elettori il 26 maggio!

* Sorina Soare insegna Politica comparata all’Università di Firenze

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