di Anna Bosco e Susannah Verney *

In Spagna e Grecia le elezioni europee sono solo uno dei quattro appuntamenti elettorali del 2019. In tutti e due i paesi, infatti, si terranno anche consultazioni politiche, regionali e municipali. In Spagna le elezioni parlamentari sono state convocate per il 28 aprile, mentre in Grecia la data non è ancora nota, sebbene il calendario elettorale preveda la chiusura della attuale legislatura entro l’inizio di ottobre.

I due casi sono quindi caratterizzati da un complesso quadro di votazioni multi-livello in cui le elezioni europee sono messe in ombra dalla competizione per il governo nazionale.

In entrambi i paesi le elezioni si svolgeranno in un clima polarizzato, surriscaldato da delicate questioni nazionali. In Spagna la vicenda catalana è risultata profondamente divisiva. I politici che hanno promosso la dichiarazione d’indipendenza del 2017, e che sono poi stati arrestati, si trovano tuttora sotto processo davanti alla Corte Suprema.

Le udienze del juicio – trasmesse live dalla televisione quattro giorni su sette – tengono desta l’attenzione popolare sulla frattura territoriale. Nel frattempo, l’ex presidente del governo catalano conduce una attiva campagna elettorale dal suo esilio belga. Purgate le liste del partito dagli elementi più pragmatici, Puigdemont è stato nominato capolista per le elezioni europee, nella speranza di portare la richiesta indipendentista al cuore della Ue.

In Grecia il nervo nazionale scoperto riguarda la disputa sul nome del vicino del nord (la Macedonia). Percepita come una minaccia per l’integrità territoriale greca e come un furto di storia e simboli dell’identità nazionale, la questione si trascina da quasi trent’anni. La recente soluzione data al problema – con il nome Macedonia del Nord – è però profondamente impopolare. La ratifica dell’Accordo di Prespa, a gennaio, ha infatti innescato imponenti dimostrazioni e spinto i Greci Indipendenti – in quanto partito nazionalista di destra – a mettere fine all’esperienza di governo con Syriza.

L’instabilità, d’altra parte, caratterizza entrambi i paesi. Nel mese di febbraio il governo di minoranza del socialista Pedro Sánchez ha dovuto gettare la spugna quando è venuto meno il sostegno dei deputati catalani indipendentisti sulla legge finanziaria.

In Grecia, invece, dopo la rottura della coalizione di governo, Syriza ha potuto costruire una nuova maggioranza con il sostegno di sei deputati indipendenti. Il governo, in qualche modo, è pertanto in grado di sopravvivere fino alla fine del suo mandato in autunno.

In entrambi i paesi le elezioni sono la storia di due linee di divisione. In Spagna la destra – oggi formata dal Partido Popular, dai radicali di Vox e da Ciudadanos, un tempo forza di centro – cerca di orientare la campagna intorno all’asse centro-periferia. Propone una piattaforma nazionalista in difesa dell’unità spagnola contro la minaccia separatista e presenta gli indipendentisti come alleati dei socialisti per il loro appoggio alla mozione di censura costruttiva che nel giugno 2018 ha portato Sánchez al governo.

La sinistra, invece, conduce la campagna elettorale intorno alla divisione sinistra-destra, sottolineando la necessità di un esito progressista per battere il neoliberalismo e la prospettiva di un governo che includa Vox.

Per questo motivo Sánchez focalizza l’attenzione sull’agenda sociale approvata dal suo governo, che include misure come l’incremento del salario minimo, la rivalutazione delle pensioni, le norme per gli affitti sostenibili e l’estensione a quattro mesi del congedo di paternità. Allo stesso modo, Unidos Podemos fa campagna sulle questioni sociali e di genere.

In Grecia quasi tutti i partiti di opposizione hanno denunciato l’accordo di Prespa come pericoloso per l’interesse nazionale e lo hanno usato per mobilitare sostegno ed attaccare Syriza. Non è ancora chiaro come questa fiammata nazionalista influenzerà l’esito delle elezioni, ma è probabile che abbia un ruolo rilevante nel nord del paese.

Nelle ultime settimane il primo partito dell’opposizione, Nea Demokratia, ha cercato di spostare il focus del dibattito criticando la competenza economica di Tsipras e la sua capacità di gestire lo stato. Syriza intanto propone un’alleanza delle forze progressiste in grado di contrastare neoliberalismo, nazionalismo ed estrema destra.

Durante la crisi dell’eurozona molti analisti hanno sostenuto che in Grecia la divisione sinistra-destra era stata oltrepassata dalla nuova divisione pro-contro i salvataggi (bailouts) targati Ue/Fmi. In effetti, è proprio su questa nuova frattura che Syriza e i Greci Indipendenti – due partiti anti-bailout ma favorevoli a restare nell’eurozona – hanno fondato la loro alleanza di governo nel 2015. Tuttavia, dopo l’uscita del paese dal bailout, lo scorso agosto, e la separazione dai Greci Indipendenti, in gennaio, Syriza è tornata a dare priorità al cleavage sinistra-destra.

Come Sánchez, anche Tsipras sta portando avanti un’agenda sociale: ha aumentato il salario minimo e ha convinto l’Eurogruppo a non imporre alla Grecia i nuovi tagli alle pensioni che avrebbero dovuto essere applicati a gennaio.

A due mesi dalle elezioni europee non è chiaro come andrà a finire la competizione intorno alle diverse tematiche scelte dalla sinistra e dalla destra in Spagna e Grecia. Nel frattempo, però, il risultato che uscirà dalle urne spagnole il 28 aprile, qualunque esso sia, potrebbe innescare un importante effetto dimostrativo a livello europeo.

* Anna Bosco insegna Politica dell’Unione europea all’Università di Firenze e Susannah Verney insegna Integrazione europea alla National and Kapodistrian University di Atene. Insieme dirigono la rivista ‘South European Society and Politics’.

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