Di James L. Newell

Come noto, l’8 e il 9 giugno in Italia si sono tenuti cinque referendum abrogativi, che non hanno raggiunto il quorum, avendo coinvolto soltanto il 30,6% degli elettori (il 29,9% considerando anche i residenti all’estero) e le cui tematiche sono qui brevemente riassunte:

  1. abrogazione della normativa che impedisce la reintegrazione dei lavoratori di aziende con più di 15 dipendenti, qualora siano stati licenziati senza giustificato motivo economico (il reintegro è invece già previsto per i licenziamenti discriminatori e disciplinari);
  2. l’abrogazione della normativa che stabilisce un tetto massimo di risarcimento (attualmente differente per anzianità del lavoratore e ampiezza della azienda) cui hanno diritto i lavoratori che siano stati licenziati ingiustamente;
  3. l’abrogazione parziale delle norme che facilitano la possibilità di stipulare contratti a termine nei primi 12 mesi dall’assunzione, senza dover specificare le causali della scelta;
  4. l’abrogazione della normativa che esclude la responsabilità del committente per gli infortuni subiti dai dipendenti delle imprese appaltatrici o subappaltatrici;
  5. l’abrogazione della norma che richiede dieci anni di residenza legale in Italia per gli adulti extracomunitari che richiedono la cittadinanza italiana, re-introducendo il precedente periodo di cinque anni.

 

L’iter referendario

I quattro referendum riguardanti il diritto del lavoro sono stati spesso presentati, nel dibattito pubblico, come derivanti dal cosiddetto “Jobs Act”, introdotto dal governo Renzi nel 2014 con l’obiettivo di stimolare l’occupazione attraverso una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. In realtà, i referendum riflettevano il dibattito pubblico e una lunga serie di iniziative dei partiti e dei sindacati in questo campo, risalenti almeno al precedente referendum sulla tutela del lavoro del 2003. E infatti, mentre il primo e il terzo dei quattro referendum del 2025 miravano ad abrogare alcune delle disposizioni del Jobs Act, il secondo e il quarto si ispiravano alle disposizioni di leggi risalenti al 1966 e al 2008. Nonostante questa diversità, i quattro referendum erano accomunati dallo slogan adottato dalla confederazione sindacale CGIL per lanciare la sua campagna volta a raccogliere le 500.000 firme necessarie a sostegno di ciascuna delle proposte il 25 aprile 2024. Lo slogan era: “Per il lavoro stabile, dignitoso, tutelato e sicuro ci metto la firma”.

Il referendum sulla legge sulla cittadinanza, nel frattempo, è nato da un’iniziativa di Ricardo Magi, segretario generale del piccolo partito di opposizione +Europa. Insieme ai rappresentanti di diversi altri partiti di opposizione e associazioni della società civile attive nella promozione dei principi di uguaglianza e diversità, Magi ha iniziato a fare campagna per ottenere le firme necessarie all’inizio di settembre 2024, ma anche la sua iniziativa aveva una lunga storia nel dibattito pubblico. Ciò derivava essenzialmente dal fatto che la crescente immigrazione a partire dalla fine degli anni ’80, unita agli ostacoli all’acquisizione della cittadinanza italiana (in particolare i principi dello ius sanguinis), aveva portato alla presenza di un numero crescente di migranti di seconda generazione che erano culturalmente italiani ma privi di diritti di cittadinanza, in particolare del diritto di voto.

Negli ultimi anni erano state intraprese diverse iniziative parlamentari nel tentativo di affrontare il problema, ma tutte erano fallite a causa dell’opposizione della destra. Il referendum (che secondo i suoi promotori avrebbe potuto avvantaggiare circa 2,3 milioni di persone), volto ad abrogare parti di una legge del 1992 che aumentava da cinque a dieci anni il requisito di residenza per poter richiedere la cittadinanza per gli extra-comunitari, era quindi visto come un’iniziativa che, se approvata, avrebbe esercitato pressione sul legislatore affinché fornisse una soluzione definitiva.

Una volta che le firme necessarie (3.880.097 in totale per i quattro referendum sull’occupazione e 637.487 per quello sulla cittadinanza) sono state depositate e convalidate dalla Corte di Cassazione, i cinque referendum proposti hanno dovuto superare due ostacoli giuridico-amministrativi standard prima di poter essere indetti. Il primo era la verifica da parte della Cassazione che la domanda referendaria fosse in ogni caso formulata in modo chiaro e che gli obiettivi dell’abrogazione fossero giuridicamente coerenti e internamente consistenti. In altre parole, la Cassazione doveva verificare che ogni domanda consentisse all’elettore di sapere su cosa stesse votando, che le disposizioni da abrogare fossero identificabili e che l’abrogazione non desse luogo a risultati giuridici contraddittori o assurdi. Questo ostacolo è stato superato il 12 dicembre 2024. Il secondo riguardava la Corte costituzionale, che doveva poi accertare che ciascuna proposta, se approvata, non violasse la Costituzione né causasse gravi conseguenze giuridiche incompatibili con le norme costituzionali. Questo secondo ostacolo è stato superato il 20 gennaio 2025.

I partiti di opposizione di sinistra (tra cui il Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), Rifondazione Comunista, il Partito Socialista Italiano, Possibile e altri) insieme alla CGIL hanno chiesto di votare a favore dell’abrogazione in tutti e cinque i casi. Al contrario, tutti e tre i principali partiti di governo hanno cercato di impedire il positivo risultato referendario invitando gli elettori a disertare le urne. Alla luce di queste condotte politiche, l’esito della consultazione ha dato luogo a due interpretazioni sostanzialmente contrastanti.

 

Considerazioni post-voto

Da un lato, la maggioranza di governo ha sottolineato come il fallimento del raggiungimento del quorum era la prova evidente che la consultazione referendaria era inutile, uno spreco di energia istituzionale, la dimostrazione che la sinistra aveva sbagliato i calcoli e subìto una sconfitta strategica. Da questo punto di vista, non solo l’affluenza alle urne ha suggerito che le proposte non erano riuscite a catturare l’immaginario dell’elettorato, ma lo stesso risultato del referendum sulla cittadinanza ha avuto un esito doppiamente negativo, dal momento che perfino tra coloro che si sono presi la briga di votare, una grande percentuale (oltre un terzo) si è dichiarata contraria al cambiamento.

Dal punto di vista del governo, dunque, i cittadini hanno giustamente voltato le spalle a questa iniziativa referendaria e, nello specifico, a proposte di legge sul lavoro che avrebbero messo le aziende sotto pressione finanziaria e scoraggiato le assunzioni, soprattutto di giovani. Questi ultimi sono stati gli ultimi referendum di una lunga serie che non è riuscita a raggiungere il quorum; un risultato del genere era stato ampiamente previsto da tutti i sondaggi della vigilia e quindi, da questo punto di vista, potevano essere giustamente descritti come una sorta di “atto di disperazione” da parte dell’opposizione: una manovra politica volta a minare il governo piuttosto che un vero esercizio di democrazia.

Come ha sottolineato un post di Fratelli d’Italia sui social media, pubblicando una foto della leader dell’opposizione, “l’unico vero obiettivo di questo referendum era quello di far cadere il governo Meloni ma, alla fine, sono stati gli italiani a farvi cadere” (Zampano, 2025). Per il presidente del Senato, Ignazio La Russa, il risultato è stata la prova che il “campo largo” dell’opposizione era “definitivamente morto” (il Post, 2025).

Dall’altra parte, sottolineata dai proponenti, dai partiti di opposizione e di sinistra, c’è la speculare narrazione che parla di una significativa mobilitazione democratica, con un livello di partecipazione decisamente elevato. Oltre 14 milioni di cittadini – circa due milioni in più rispetto a quelli che avevano sostenuto i partiti di governo alle elezioni generali del 2022 – hanno sfidato i forti inviti dei membri del Governo a non recarsi alle urne. Lo hanno fatto nonostante il silenzio assordante dei media mainstream, compresa l’emittente pubblica RAI, sul tema dei referendum; e una maggioranza ampia (nel caso del referendum sulla cittadinanza) e schiacciante (nel caso dei referendum sul lavoro) abbia votato a favore dell’abrogazione. In questo modo, i cittadini che si sono mobilitati hanno dimostrato il loro senso di responsabilità e il loro impegno nei confronti dei principi di apertura e inclusività nel caso della cittadinanza e di assistenza e dignità umana nel caso del lavoro. E sebbene le questioni in gioco non siano state nei fatti risolte, i referendum hanno raggiunto lo scopo di garantire che rimanessero politicamente rilevanti.

Per la leader del PD, Elly Schlein, di conseguenza, la destra aveva «poco da festeggiare». Per Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, “Il fatto è che un terzo del Paese, tra i 14 e i 15 milioni di persone, ritiene che le questioni da noi sollevate siano argomenti che richiedono risposte chiare. Si tratta di una posizione di forza con cui tutti gli interessati dovranno fare i conti. Il nostro impegno è quello di andare avanti partendo da questa posizione e di costruirci sopra”.

Cosa dobbiamo pensare di questi due contrapposti storytelling? Cominciano con il collocare l’affluenza alle urne in una prospettiva storica. Dal 1970, anno in cui è stata approvata la legge di attuazione dell’articolo 75 della Costituzione, si sono tenuti 77 referendum abrogativi in 19 diverse occasioni (Figura 1). Quello che possiamo osservare è che c’è stato un netto calo dell’affluenza alle urne con il passare del tempo e che delle nove consultazioni svoltesi nei primi vent’anni, solo una non ha raggiunto il quorum, mentre delle dieci consultazioni svoltesi nei trent’anni successivi, solo una è riuscita a raggiungerlo.

Sembra probabile che la crescente difficoltà di raggiungere il quorum abbia avuto a che fare, almeno in parte, con la crescente “tecnicità” delle domande. Cioè, in misura maggiore rispetto agli anni precedenti, si può sostenere che i recenti referendum abbiano riguardato questioni più “tattiche”, abolizioni di ritagli di leggi con lo scopo di raggiungere determinati obiettivi, questioni che richiedono una certa competenza tecnica per essere comprese; al contrario, quelli precedenti riguardavano questioni relative a fini e valori più evidenti e “universali”, che richiedono un ragionamento etico e ideologico per formulare una propria risposta al quesito.

Ne è un esempio quasi iconico la consultazione referendaria del 2003, la proposta cioè di abrogazione dell’obbligo per i proprietari terrieri di consentire il passaggio di linee elettriche attraverso le loro proprietà; quanta differenza con quella del 1981 sull’aborto, per non parlare del primo, il famoso referendum del 1974 sul divorzio! Sembra ovvio che, a parità di condizioni, le questioni tecniche attireranno livelli di partecipazione inferiori rispetto alle questioni di principio, semplicemente perché, in misura molto maggiore rispetto a queste ultime, richiedono all’elettore di investire tempo e risorse intellettuali nella loro valutazione prima di poter decidere come votare. La partecipazione, in questi casi, è quindi molto più costosa per l’elettore.

Tuttavia, l’impatto della natura tecnica delle questioni sembra essere mediato da altre variabili, come il riscontro del momento politico in cui si svolgono, le implicazioni sul futuro del paese ed il traino di alcune questioni rilevanti su altre poco interessanti. Nel 1993, ad esempio, la questione relativamente tecnica del sistema elettorale per il Senato è stata sottoposta agli elettori al culmine dello scandalo Tangentopoli; è stata presentata dai media come un plebiscito sull’intera classe politica esistente e ha occupato il centro della scena nel dibattito pubblico per quasi tutto il periodo che l’ha preceduta. In quell’anno agli elettori è stato chiesto di decidere anche su altre su otto questioni.

Nel 1995, quando Silvio Berlusconi esortò gli elettori a non mettere a rischio i loro programmi televisivi preferiti sostenendo l’abrogazione della legislazione che consentiva una maggiore quantità di pubblicità per le trasmissioni di una certa durata, una questione di grande rilevanza spinse gli elettori a esprimere la loro opinione su un gran numero di questioni tecniche sottoposte loro contemporaneamente, ben dodici. Nel caso dei referendum più recenti, gli organizzatori speravano di beneficiare di un effetto simile, contando sul fatto che la questione relativamente di principio delle condizioni per la concessione della cittadinanza avrebbe avuto un effetto trainante, aumentando la partecipazione ai referendum sulla legge sul lavoro. Che ciò sia avvenuto o meno, è stato chiaramente insufficiente e ha quindi dato forza alla considerazione del fallimento politico da parte dei partiti di governo.

Sia questa narrazione che quella degli oppositori del governo sono state costruite attorno all’idea di uno scontro ideologico tra schieramenti elettorali opposti e anche questo sembra avere almeno un certo sostegno empirico. In altre parole, è probabile che coloro che sono andati a votare fossero per lo più elettori di sinistra motivati ideologicamente, come suggeriscono i dati riportati nella tabella 1. Naturalmente, bisogna essere consapevoli dei pericoli dell’errore ecologico. Tuttavia, sembra significativo che vi sia una forte correlazione (0,77) tra l’affluenza a livello regionale ai referendum del 2025 e il sostegno ai partiti di sinistra (PD e AVS) alle ultime elezioni nazionali (le Europee del 2024). Inoltre, in tutte le regioni, tra coloro che hanno votato, il sostegno all’abrogazione è più o meno uniformemente alto (cittadinanza) o quasi plebiscitario (occupazione).

Se il governo ha potuto sfruttare ampiamente il mancato raggiungimento del quorum per costruire la propria narrativa, lo stesso hanno potuto fare, in modo diverso, i partiti di opposizione e di sinistra. Questi ultimi, com’era prevedibile, hanno sostenuto che il quorum avrebbe potuto essere raggiunto se il referendum non fosse stato privato dell’ossigeno di una corretta e costante informazione. A sostegno di questa tesi, potrebbero fare riferimento, ad esempio, alla denuncia presentata in maggio dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) «contro la televisione di Stato RAI e altre emittenti per la mancanza di una copertura adeguata ed equilibrata» (Zampano, 2025). Hanno altresì argomentato che le cose sarebbero potute andare diversamente se i partiti di governo non avessero preso la decisione di incoraggiare i propri sostenitori a boicottare il referendum invece di partecipare e votare “no”.

 

Tabella 1  Referendum abrogativi del 2025: votazioni per regione

 

Regione Affluenza PD+AVS (2024) % SI lavoro % SI cittadinanza
Valle d’Aosta 29 32 84 64
Piemonte 35 31 86 64
Liguria 35 34 89 65
Lombardia 31 29 85 63
Trentino AA 23 28 83 60
Friuli VG 28 27 84 61
Veneto 26 25 84 62
Emilia Romagna 38 43 88 64
Toscana 39 39 89 67
Marche 33 31 88 62
Umbria 31 32 89 65
Lazio 32 31 90 69
Abruzzo 30 26 89 62
Molise 28 23 91 64
Campania 30 29 93 69
Puglia 29 37 91 66
Basilicata 31 28 90 64
Calabria 24 22 92 67
Sicilia 23 19 91 66
Sardegna 28 34 92 75
Italia 31 31 88 65

 

Fonte: elaborazione propria dei dati messi a disposizione dal Ministero dell’Interno.

Nota: “PD+AVS 2024” = quota combinata dei voti ottenuti dal PD e dall’AVS alle elezioni del Parlamento europeo del giugno 2024. “% sì occupazione” = media arrotondata dei voti favorevoli per ciascuna delle quattro domande.

 

 

Questioni tecniche e questioni etiche

Ovviamente, sia la narrazione del fallimento politico che quella della mobilitazione democratica erano (e sono) interpretazioni empiricamente sostenibili. Da un punto di vista normativo, vengono in mente tre considerazioni.

 

  1. a) In primo luogo, si sostiene spesso che il fatto che i referendum non raggiungano regolarmente il quorum sia un segno che negli ultimi anni i partiti e i gruppi abbiano abusato sempre più dell’articolo 75 della Costituzione, sottoponendo agli elettori questioni tecniche che sarebbe più opportuno lasciare ai legislatori. Se tale argomentazione possa essere applicata correttamente ai referendum del 2025 è, come minimo, discutibile. Da un lato, la linea di demarcazione tra “questioni tecniche” e “questioni di principio” non è affatto netta.

Ad esempio, la questione della responsabilità dei committenti (referendum n. 4) potrebbe sembrare tecnica, ma in realtà comporta questioni etiche di grande rilevanza che avrebbero dovuto essere oggetto di dibattito pubblico ben oltre le mura del Parlamento. Per chiarire, forse un esempio può essere utile: attualmente, se un’azienda di vendita al dettaglio di scarpe dovesse ristrutturare uno dei suoi negozi affidando i lavori a un’impresa di costruzioni, non sarebbe corresponsabile per eventuali risarcimenti dovuti a un operaio edile ferito mentre utilizzava un piccone.

Questo perché la vendita di scarpe è un’attività diversa dall’edilizia. I promotori del referendum vorrebbero che la corresponsabilità si applicasse in ogni caso, indipendentemente da ciò. Ciò incoraggerebbe sicuramente qualsiasi azienda appaltatrice a esercitare una maggiore supervisione sulle attività e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti del subappaltatore, scoraggiando il ricorso ad aziende che impiegano lavoratori non dichiarati o scarsamente formati. D’altra parte, ciò richiederebbe alle imprese appaltatrici un livello di “competenza” che non possono realisticamente possedere quando si tratta di valutare il lavoro delle imprese a cui affidano i lavori in subappalto. E questo potrebbe rivelarsi eccessivo ed economicamente svantaggioso, scoraggiando così il subappalto in generale (Ricardi, 2025). Si tratta di una questione tecnica o di principio? Certamente, alla luce del numero di infortuni sul lavoro (circa mezzo milione) e di decessi (1.077 nel 2024) registrati ogni anno in Italia (Dichiarante, 2025), si tratta di una questione significativa e importante.

D’altra parte, anche questioni relativamente tecniche, quando sottoposte agli elettori, possono avere importanti conseguenze politiche. Nel caso del referendum sulla cittadinanza, ad esempio, è stato probabilmente molto significativo che la maggioranza a favore dell’abrogazione fosse molto più ridotta rispetto ai restanti quesiti. Dal momento che la stragrande maggioranza di coloro che sono andati a votare erano sostenitori dei partiti di sinistra, è comprensibile che i rappresentanti di questi partiti siano preoccupati, poiché questo risultato suggerisce implicitamente che i discorsi ostili ai migranti e agli stranieri, più comunemente associati alla destra, abbia un’eco importante anche tra i sostenitori dei loro partiti. Non sorprende che il leader della Lega, Matteo Salvini, non abbia perso tempo e abbia sfruttato il risultato per chiedere condizioni ancora più severe per la concessione della cittadinanza rispetto a quelle già esistenti (il Post, 2025).

 

  1. b) Una seconda considerazione riguarda i tentativi degli oppositori delle proposte di raggiungere i propri obiettivi sollecitando l’astensione, e cercando di negare la dovuta informazione sui tempi e sui contenuti del referendum. Entrambi sollevano questioni significative di correttezza democratica (vedi, ad esempio, Casali, 2025). Esortare all’astensione era una strategia razionale dal punto di vista degli oppositori ed è, presumibilmente, implicitamente prevista come possibilità legittima dal fatto che l’articolo 75 della Costituzione prevede un quorum. D’altra parte, ci si chiede come ciò si concili con l’articolo 48, che stabilisce che l’esercizio del diritto di voto «è un dovere civico».

Un giurista costituzionale sosterrebbe – verosimilmente – che gli appelli all’astensione rientrano nell’ambito del discorso politico consentito dalla Costituzione poiché, sebbene descritto come un «dovere civico», il voto non è un obbligo giuridico in quanto tale. Tuttavia, non si può fare a meno di pensare che ci sia qualcosa di leggermente sgradevole nell’esortare all’astensione, che un vero democratico, sicuro della propria posizione, lo avrebbe evitato (cercando invece di prevalere attraverso la partecipazione e il dibattito) e che sostenerlo non poteva che diminuire l’autorità delle istituzioni rappresentate dai suoi sostenitori.  Per i partiti che amano sviluppare discorsi sul tema della “nazione”, era quantomeno curioso che avessero scelto di intraprendere un’azione potenzialmente dannosa per le istituzioni pubbliche della nazione.

Anche il relativo silenzio dei media sui referendum è stato un fatto discutibile. Dopo tutto, se i membri di una comunità politica sono chiamati a prendere insieme decisioni importanti per la collettività nel suo insieme, è difficile pensare a eventi pubblici di maggiore peso e significato, e quindi più meritevoli di essere al centro dell’attenzione pubblica.

Infine, subito dopo i referendum, non si poteva fare a meno di essere attratti dalla proposta, ormai di lunga data (Leo, 2025), di alcuni secondo cui un emendamento costituzionale utile sarebbe l’abolizione del quorum per i referendum abrogativi. Certo, una riforma di questo tipo renderebbe teoricamente possibile alle minoranze appassionate di imporre la propria volontà alle maggioranze meno appassionate o indifferenti. D’altra parte, però, obbligherebbe chi si oppone alle proposte a impegnarsi in un adeguato dibattito pubblico, impedendo loro di poter contare semplicemente su escamotage procedurali e sull’apatia dell’opinione pubblica per prevalere (Pasquali, 2025). In questo modo, contribuirebbe in maniera significativa a invertire la tendenza alla crescente indifferenza politica e al calo della partecipazione.

Senza dubbio si potrebbe sostenere che la contropartita dell’abolizione del quorum dovrebbe essere, dall’altra parte, l’adozione di criteri più ristretti e rigorosi per poter proporre un referendum da parte dei cittadini. Tuttavia, se l’abolizione del quorum riuscisse ad aumentare la partecipazione, ciò potrebbe svolgere una funzione di carattere più generale, tenendo presente che l’opposto della partecipazione, ovvero l’apatia politica (si veda Natale, Fasano, Biorcio, 2025), rende più facile per i rappresentanti pubblici eludere la dovuta responsabilità civica rispetto all’istituto del voto. Disincanto e alienazione che, al tempo stesso, favoriscono direttamente i leader populisti, la cui tendenza è proprio quella di smobilitare i cittadini sostenendo di essere in grado, attraverso l’esercizio del potere, di risolvere i problemi al posto loro.

 

 

 

 

Riferimenti bibliografici

Casali, Elena (2025), “Resta a casa, resta in silenzio: quando il potere ti dice di non votare e la democrazia ne paga il prezzo”, EUIdeas, 5 giugno, https://euideas.eui.eu/2025/06/05/stay-home-stay-silent-when-power-tells-you-not-to-vote-and-democracy-pays-the-price/

Dichiarante, Anna (2025), Insieme liberiamo il lavoro: Colloquio con Maurizio Landini di Anna Dichiarante», l’Espresso, 30 maggio, pp. 18-21.

Dimalio, Paolo (2025), «Referendum, proposta di legge popolare per l’abolizione del quorum. Staderini: “In 5 ore già raccolte 5000 firme”’, il Fatto Quotidiano, 9 giugno, https://www .ilfattoquotidiano.it/2025/06/09/referendum-proposta-di-legge-popolare-labolizione-quorum-staderini-mille-firme/8020240/

Il Post (2025), “Il referendum sulla cittadinanza è andato molto peggio del previsto”, il Post, 9 giugno, https://www.ilpost.it/2025/06/09/referendum-risultati-definitivi/

Leo, Davide (2025), «Da trent’anni chi perde ai referendum chiede di cambiare le regole», Pagella Politica, 12 giugno, https://pagellapolitica.it/articoli/cambiare-regole-abolire-quorum-referendum

Natale, P., Fasano, M.L., Biorcio, R., Schede bianche. Perché gli italiani votano sempre meno, Luiss University Press, 2015.

Pasquali, Francesco (2025), «Il quorum è l’omicidio del referendum», l’Opinione delle Libertà, 10 giugno, https://opinione.it/politica/2025/06/10/francesco-pasquali-abolizione-quorum-legittimita-referendum-partito-liberale/

Ricardi, Francesco (2025), «Voto. Referendum sul lavoro: i 4 quesiti, i pro e contro, cosa c’è da sapere», Avvenire, 2 giugno, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/referendum-sul-lavoro-i-4-quesiti-i-pro-e-contro-cosa-c-e-da-sapere

Saporiti, Riccardo (2025), “Il referendum non ha raggiunto il quorum, non è giunta l’ora di una riforma?”, Wired, 9 giugno 2025, https://www.wired.it/article/referendum-quorum-non-raggiunto-abolirlo-riforma-raccolta-firme/

Zampano, Giada (2025), “Il referendum italiano sulla cittadinanza e la tutela del lavoro fallisce a causa della bassa affluenza”, Associated Press, 9 giugno, https://apnews.com/article/italy-referendum-vote-citizenship-labor-law-meloni-government-opposition-d2c2b8ccfa96d27ab759cce2b4d72389

 

James L. Newell

Università Carlo Bo di Urbino

James.Newell@uniurb.it

(versione italiana a cura di Paolo Natale)

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