James Lawrie Newell

Università di Urbino Carlo Bo e co-editor di Contemporary Italian Politics

 

I politologi si riferiscono spesso al populismo come a una ‘ideologia sottile’, ovvero un’ideologia caratterizzata da un insieme limitato di convinzioni di base – in questo caso, che la politica è una lotta tra un ‘popolo puro’ e una ‘élite corrotta’ – che può essere adattata a vari contesti sociali e politici, e anche ideologici. Da ciò derivano due cose.

In primo luogo, non è possibile essere populisti ed essere di sinistra. Questa affermazione potrebbe mettermi in una esigua minoranza, ma tant’è. È vero che l’idea centrale del populismo è ‘sottile’ perché può essere riempita con proposte politiche diverse a seconda delle circostanze specifiche o degli obiettivi degli attori politici coinvolti. Ma questo non significa che possa essere riempito con qualsiasi proposta e, in particolare, è incompatibile con l’impegno della sinistra per l’uguaglianza (Bobbio, 1994). Questo perché un impegno per l’uguaglianza implica un impegno per la diversità e per l’internazionalismo. Il populismo è intrinsecamente ostile alla diversità, anche perché il ‘popolo’ è, per definizione, un’entità unica; ed è altrettanto ostile all’internazionalismo perché la nozione di ‘popolo’ implica una comunità politica e tali comunità, con le loro distinzioni tra membri ed esclusi, sono organizzate dagli Stati nazionali.

In secondo luogo, l’adattabilità del populismo e la sua capacità di adattarsi in diversi scenari culturali e politici richiamano l’attenzione sul fatto che il populismo dei leader politici della fine del XX e inizio del XXI secolo non è certo originale, ma attinge a piene mani dalle tradizioni tramandate dal passato. Questo è sicuramente vero nel caso di Silvio Berlusconi.

Berlusconi è stato il leader di un partito personale, Forza Italia, e il pioniere di un nuovo stile di campagna politica personalizzata in cui era particolarmente abile. Personalizzazione e populismo vanno quasi sempre insieme, perché se il ‘popolo’ implica un’entità unica e indifferenziata, allora anche il leader populista è ‘del popolo’ e, in quanto leader, ne è per definizione il rappresentante più autorevole. Berlusconi è stato un maestro nello stabilire le sue credenziali di autentico ‘uomo del popolo’. Nel 1994, mentre i suoi avversari di sinistra gli chiedevano di difendere il suo programma economico dalle accuse di danneggiare i lavoratori comuni, lui chiese loro quante Coppe Intercontinentali avessero vinto – invertendo così le connotazioni di classe dello scambio, facendo apparire i suoi avversari come aridi professori universitari e lui, il miliardario, come un vincitore che l’operaio medio e il tifoso di calcio potevano capire e ammirare (Stille, 2010: 190-1).

Tuttavia, la personalizzazione era uno stile di campagna elettorale che Berlusconi aveva appreso dal suo mentore, Bettino Craxi, il quale a sua volta aveva appreso – in ultima analisi – da Benito Mussolini, come i vignettisti dei giornali spesso lo paragonavano. Mussolini, infatti, aveva compreso meglio dei suoi contemporanei il potenziale della personalizzazione per la manipolazione e il controllo di grandi popolazioni nell’era del suffragio di massa e della società di massa che si stava instaurando nei primi decenni del XX secolo.

‘Il caimano’ è un film del 2006 di Nanni Moretti incentrato sulle vicende di Berlusconi. Ma il caimano è un tipo di coccodrillo noto per l’astuzia e l’agilità nella caccia. Quindi, non a caso, il termine è usato anche in senso figurato, per riferirsi a chi usa mezzi subdoli e furbi per manipolare le situazioni a proprio vantaggio: chi è senza principi, un opportunista. L’opportunismo è una seconda caratteristica che si accompagna quasi sempre al populismo, poiché i leader populisti non cercano di guidare il popolo facendo riferimento alle proprie convinzioni, ma – proprio per mantenere la credibilità come voce più autentica del popolo – di dominare il popolo concentrandosi esclusivamente su tutto ciò che è necessario fare per raggiungere tale scopo. Il termine sembrava appropriato nel caso di Berlusconi. Secondo il giornalista Alexander Stille (2010: 25), una delle sue caratteristiche personali più sorprendenti era la capacità di trasmettere un’idea di totale convinzione e sincerità anche quando diceva cose totalmente estranee alla realtà oggettiva. Come è noto, ha promesso una ‘rivoluzione liberale’ nella politica e nella società italiana – ma poi si è schierato in prima linea a difesa dei tassisti e di altri interessi costituiti contro le riforme liberali del governo Prodi a partire dal 2006. Il suo partito non aveva un’immagine distinta da quella di Berlusconi stesso, certamente nessuna che potesse essere descritta con riferimento a qualche principio politico, e lui era entrato nella scena politica, in primo luogo, esclusivamente per salvaguardare i suoi interessi commerciali. Anche in questo caso, il suo comportamento rifletteva tradizioni di lunga data. Il portmanteau ‘qualunquismo’, che significa indifferenza ai principi politici, era stato lasciato in eredità alla lingua italiana dal populista Guglielmo Giannini. Egli aveva a sua volta imparato dall’inventore del populismo italiano, Benito Mussolini, che una volta disse:

I programmi sono carta straccia. Lasciamoli ai socialisti, alle loro interminabili discussioni teoriche. Io non so che farmene di dottrine e programmi; io, anzi, me ne devo disfare, perché devo potermi riempire degli umori della gente (citato da Scurati, 2023: 70).

Infine, Berlusconi era famoso per la sua insofferenza nei confronti dei controlli e degli equilibri del governo costituzionale, in particolare per l’idea che lui, in qualità di Primo Ministro, potesse essere chiamato a rispondere, da parte della magistratura, delle accuse di illegalità nei suoi affari. Ancora una volta, un simile atteggiamento si accompagna quasi sempre al populismo, poiché tutto ciò che ostacola la volontà del popolo e quindi il suo autentico leader ha origine al di fuori del popolo ed è quindi nemico del popolo. La convinzione di Berlusconi che le elezioni servissero in senso plebiscitario all’investitura di leader, con il potere di emanare ordini, si è riflessa nel suo progetto di riforma costituzionale del 2006. Le sue disposizioni ‘anti-ribaltone’ che impedivano cambi di maggioranza di governo nel corso di una singola legislatura ne sono un esempio. La sua insofferenza nei confronti del governo parlamentare rifletteva l’opinione di Mussolini, per il quale il Parlamento era un tetro edificio popolato dalle ‘mummie di Montecitorio’ (citato da Scurati, 2023: 64).

A questo punto, il lettore potrebbe chiedersi cosa c’entri tutto questo con il presente, visto che l’era Berlusconiana è ormai parte della storia. La mia tesi è che così come Berlusconi ha attinto a tradizioni tramandate dal passato, così ha fatto anche Giorgia Meloni. In tutti e tre gli aspetti –personalizzazione, opportunismo, plebiscitarismo – Berlusconi ha fornito il modello per la politica della Meloni. Se Berlusconi è stato magistrale nell’usare l’irriverenza – fino alla crudezza – per focalizzare l’attenzione su di sé come colui che parlava il linguaggio della gente comune, Meloni non ha tardato a imparare. Tra i tanti esempi: pochi di coloro che l’hanno vista potranno dimenticare il video ironico di lei che tiene due meloni davanti al petto il giorno delle elezioni del 2022. ‘Era uno scherzo giocato sul suo nome di cui il conduttore delle feste “Bunga Bunga” sarebbe stato orgoglioso’ (Roberts, 2023).

Se Berlusconi mancava di principi, ciò vale anche per la Meloni. Una volta salita al governo, diverse delle posizioni espresse quando era all’opposizione sono state disattese come è noto. Ironia della sorte, secondo alcuni (ad esempio, Vassallo e Vignati, 2023), questo diventa la prova che anch’essa é soggetta a vincoli di governo e che, di conseguenza, è sbagliato considerarla come politico di estrema destra o di destra radicale.

 

Se Berlusconi era insofferente ai controlli e agli equilibri della democrazia rappresentativa, lo è anche la Meloni, le cui proposte di riforma costituzionale, annunciate a novembre, con la loro concentrazione di potere nelle mani del Primo Ministro, e soprattutto le loro disposizioni ‘anti-ribaltone’, riflettono le stesse prospettive plebiscitarie evidenti nelle proposte del 2006.

In conclusione, il populismo è contrario alla democrazia perché rifiuta i principi del pluralismo. L’inventore del populismo italiano, Benito Mussolini, era anche un fascista. Berlusconi era un populista ma non un fascista – perché non ha usato la violenza fisica contro i suoi avversari politici – e non lo è neanche Meloni. Tuttavia, Berlusconi ha usato l’incivility – una forma di violenza verbale che è dannosa per la democrazia perché per definizione implica che coloro contro i quali viene usata non sono degni di essere considerati membri della comunità democratica – e anche la Meloni l’utilizza. L’inciviltà politica ha la caratteristica di essere qualcosa da cui i cittadini vengono respinti, ma da cui allo stesso tempo si sentono attratti – come le celebrità: persone note per la loro notorietà (Boorstin, 1962: 57) e con cui i loro fans si identificano e desiderano un contatto: intimacy at a distance. Questo è il significato di Berlusconi, il leader populista, oggi. Come celebrità ha insegnato ai politici populisti che sono venuti dopo di lui – politici come Donald Trump, Boris Johnson e ora Giorgia Meloni– che se si riesce a diventare una celebrità politica, si può creare un seguito pubblico che può potenzialmente renderli molto potenti. Si può creare una fandom e con essa un legame molto più forte con questi followers rispetto a quello che può essere fornito dai semplici sostenitori. Da tutto questo, Giorgia Meloni, ha imparato. Mentre alcuni non ritenevano che il suo governo potesse portare a un regresso democratico (democratic backsliding), altri erano di diverso avviso. Con la cosiddetta ‘legge Bavaglio’, che è stata aggiunta all’agenda politica a dicembre, si minano i principi del controllo giudiziario esercitato da una magistratura indipendente e della trasparenza pubblica garantita da una stampa libera. Sembra che il 2024 avrà molto da dire su chi ha ragione.

 

 

Riferimenti bibliografici

Bobbio, Norberto (1994), Destra e Sinistra: Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma: Donzelli editore

Boorstin, Daniel J. (1962), The Image: A Guide to Pseudo-Events in America, New York and Boston: Harper Colophon Books.

Lello, Elisa, Newell, James L., Turato, F. (2023), The Outcome: Electoral Trends and the Geopolitics of Voting, in Bordignon, F., Ceccarini, L. e Newell, James L., Italy at the Polls 2022. The Right Strikes Back, Basingstoke, Palgrave Macmillan, trad. It. Cambio di rotta. L’Italia al voto del 2022, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2023.

Roberts, Hannah (2023), ‘Why Berlusconi’s death makes Meloni stronger’, Politico, 13 June, Why Berlusconi’s death makes Meloni stronger – POLITICO

Scurati, Antonio (2023), Fascismo e populismo: Mussolini oggi, Florence and Milan: Giunti Editore/Bompiani

Stille, Alexander (2010), Citizen Berlusconi: Il Cavalier Miracolo, Milan: Garzanti.

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