di Sofia Ventura*

La campagna francese per le elezioni europee si sta volgendo tra lo scarso interesse dei cittadini, la cacofonia di messaggi, l’attenzione dei partiti al tema dell’Unione che si interseca con le dinamiche interne e un’offerta politica frammentata. Secondo Ipsos (marzo 2019), solo il 42% degli intervistati si è dichiarato certo di andare a votare. Un valore in linea con l’affluenza nelle consultazioni per il Parlamento europeo del nuovo millennio. Se i Gilets Jaunes e la risposta di Emmanuel Macron con il Grand Débat hanno dominato l’agenda politica di questi mesi, anche le scarse aspettative verso le istituzioni europee sembrano pesare sul tiepido interesse per la campagna.

Negli ultimi dieci anni, secondo i dati del Cevipof (Sciences Po), la fiducia verso l’UE è rimasta piuttosto limitata raggiungendo alla fine del 2018 il suo punto più basso: il 28%. In un contesto, peraltro, di sfiducia verso le istituzioni nazionali e verso le prospettive economiche e di benessere. Secondo un sondaggio pubblicato da Le Figaro il 5 aprile, solo per il 29% dei francesi la costruzione europea costituisce una fonte di speranza. Anche se una significativa maggioranza (il 55%) continua a ritenere che l’appartenenza all’Ue sia una buona cosa (Ifop, 10 aprile 2019). Questo dato esprime probabilmente l’inquietudine per un salto nel vuoto al di fuori dell’Unione.

Non è, allora, casuale che la Frexit sia promossa solo da due piccoli partiti di estrema destra. Invece il Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen raccoglie il sentimento di ostilità all’UE, con la sua visione sovranista dell’«Europa delle nazioni», senza però rinnegare l’appartenenza all’istituzione europea, né tantomeno all’area euro, tanto più che alle elezioni presidenziali del 2017 l’Euro exit non aveva portato molta fortuna. La République en Marche (LRM) di Macron costituisce il polo opposto, convintamente europeista, con la proposta di un’Europa «sovrana» a fronte dei grandi poteri e delle grandi sfide globali, e con l’ambizione di portare in Europa una nuova contrapposizione, quella fra sovranisti e progressisti, per sostituire la distinzione tra socialisti e popolari.

Attorno alle due maggiori formazioni si diffondono le note della cacofonica sinfonia di questa campagna. Les Républicains (gollisti, LR) per differenziarsi dal centro e non perdere altri consensi a vantaggio del Rassemblement National sottolineano temi securitari, come la difesa dei confini nazionali, e identitari. All’altro capo del continuum, la France Insoumise propone un sovranismo gauchiste. Mentre la sinistra moderata dopo il crollo del 2017 continua a dividersi: dai verdi (Europe Ecologie les Verts), federalisti, al Partito Socialista – alleato ai civici di Raphaël Glucksman – con il suo progetto di riforma per più solidarietà e meno rigore, a Generation.s di Benoît Hamon, già candidato socialista alle presidenziali del 2017, uscito dal PS, che rifiuta sia la visione liberale che nazionalista dell’Europa.

(Quasi) nessuno rinnega l’Unione, tutti la vogliono cambiare, con differenze dal poco al molto percepibili. Anche dell’ambiente, ormai, quasi tutte le forze – con approcci diversi – si fanno portavoce: il 24% dei francesi lo colloca tra i temi che più condizioneranno il loro voto, al pari della sicurezza e della lotta al terrorismo (Le Figaro, 5 aprile).

L’offerta politica è dunque frammentata e per gli elettori non è semplice raccapezzarsi tra i diversi messaggi. Queste elezioni europee ancora una volta riflettono le preoccupazioni di posizionamento sullo scacchiere nazionale. La maggiore dispersione di forze caratterizza soprattutto la sinistra. Mentre i poli in grado di attrarre il maggior consenso sono al centro (LRM) e all’estrema destra (RN). Entrambe le liste hanno una forza di poco superiore al 20%, con una prevalenza attribuita al movimento di Macron. Secondo una simulazione (france-politique.fr), grazie alla soglia di sbarramento del 5% (il sistema è proporzionale con circoscrizione unica nazionale) le due forze raccoglieranno insieme più del 60% dei seggi in palio. Mentre tra le numerose liste in campo (una quindicina), a superare la soglia sarebbero soltanto France Insoumise (8,5%), PS (5,5), Verdi (7,5), gollisti (13) e gli ultra-conservatori di Debout la France (5) (Rolling Ifop, 12/4).

Nel quadro di un sistema partitico destrutturato, dunque, si staglia una contrapposizione che ha un valore sia interno sia europeo, pro-sistema e anti-sistema (dove con «sistema» richiamiamo il sistema di regole e valori con il quale si sono costruite l’Europa e le sue democrazie). L’attenzione sarà inevitabilmente concentrata sulla competizione tra macroniani e lepeniani. Il risultato conterà molto per il prosieguo della presidenza di Macron, ma costituirà anche un segnale per le diverse forze sovraniste in Europa.

Un eventuale secondo posto del RN non cambierà, però, un dato di fondo: la presenza di una radicata ostilità alla politica mainstream. Secondo la ricerca Ipsos citata, la sicurezza di andare a votare è molto alta per i simpatizzanti del RN, di gran lunga superiore a tutti gli altri partiti (di poco inferiore è solo il dato dei macroniani, a riprova della loro natura pro-sistema), così come è ampiamente superiore a tutti gli altri contendenti la fedeltà tra voto alle presidenziali e potenziale voto europeo. Il collante della rabbia e della paura di declassamento rimane potente: la perdita del potere d’acquisto e l’immigrazione costituiscono le maggiori preoccupazioni dei potenziali elettori del RN, preoccupazioni sovrarappresentate rispetto ai simpatizzanti degli altri partiti.

* Sofia Ventura insegna Politica comparata e Leadership e comunicazione politica all’Università di Bologna.

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